1° MAGGIO 2021
LE SFIDE DEL SINDACATO: PARTECIPAZIONE, CONTRATTAZIONE, TRASPARENZA E DEMOCRAZIA.
“INVERTIRE LA PIRAMIDE”!

I tempi sono maturi per dar vita a un nuovo modello sociale e, quindi, sindacale. Partecipazione e Cogestione, rappresentatività, contratti di secondo livello, trasparenza e democrazia nei sindacati: sono le nuove sfide che la Confederazione Nazionale Lavoratori lancia al mondo del lavoro, delle imprese e alla politica affinché la nostra Nazione diventi competitiva ed abbia un futuro strutturato in nome della socialità e dell’economia.
La pandemia, la crisi economica e finanziaria, che non nasce con la pandemia ma già attanagliava l’Italia da anni, le scelte europee anti sovraniste ed una precisa volontà politica che, in questi ultimi anni, ha demolito i corpi intermedi, sostituendoli di fatto con il social, hanno determinato un solco tra cittadini e politica e tra lavoratori e i sindacati.
Da questo solco si esce se la Politica sociale ritrova la sua centralità e il sindacato abbandona le logiche di potere centralista rilanciando la grande sfida dell’innovazione, della modernità, della trasparenza e della democrazia.
Se la Politica tarda a ritrovare la propria centralità, il sindacato può avviarsi verso il rinnovamento e fare da traino per la grande svolta di cui l’Italia necessita. Il presupposto di ciò è la radicale trasformazione dell’attuale modello sindacale puntando sulla qualità dell’azione sindacale per sostenere i diritti del lavoro e contribuire alla rinascita economica e sociale della nostra Nazione.
L’attuale modello sindacale, fondato sulla “maggiore rappresentatività confederale”, distante dal territorio e dalle categorie, verticistico e lontano dai problemi della base dei lavoratori e delle realtà lavorative, è ormai superato. Ciò impone una nuova visione del rapporto tra lavoratore e sindacato e tra vertici sindacali, categorie e territori, basata sul capovolgimento della piramide e sul ridimensionamento delle strutture confederali, anche in termini di risorse, a favore delle categorie e dei territori.
E’, infatti, nelle fabbriche, nelle aziende, nelle pubbliche amministrazioni, che il sindacato può recuperare un ruolo credibile ed è tra le categorie che esso può riconquistare la fiducia dei lavoratori. E’ finito il tempo delle confederazioni rinchiuse nei propri “palazzi di cristallo”, distanti dai problemi dei lavoratori e dei territori, egoiste e fameliche rispetto alle risorse economiche derivanti dalle deleghe dei lavoratori e carenti sul rispetto della democrazia interna e sulla trasparenza.
Si è aperta e deve spalancarsi una fase nuova che prende il via con l’attuazione dell’art. 39 della Costituzione: la registrazione e il riconoscimento della personalità giuridica dei sindacati. Ciò al fine di garantire la trasparenza nella gestione delle risorse e la democrazia interna.
Di questa nuova fase deve rendersi protagonista una nuova classe dirigente sindacale che sappia raccogliere la sfida della vera rappresentatività e della contrattazione di secondo livello, sempre più centrale nel rapporto tra le controparti e sempre più incentrata sulla qualità della proposta e sulla maggiore aderenza alle specifiche esigenze di ciascuna categoria e di ciascuna realtà lavorativa.
Nell’ottica del rovesciamento della piramide, la tutela dei diritti fondamentali e il quadro contrattuale generale restano di competenza della contrattazione nazionale, mentre le regole di dettaglio del rapporto di lavoro vengono disciplinate dalla contrattazione di secondo livello, decentrata ed aziendale.
In tale nuovo modello contrattuale, dunque, le categorie sono al vertice ed i dirigenti sindacali hanno il compito di rappresentare al meglio le istanze dei lavoratori nell’ambito delle loro specifiche realtà.
Rappresentanza dal basso, coinvolgimento della base, protagonismo delle categorie e dei lavoratori, partecipazione democratica, coordinamento della strategia e dell’azione sindacale: sono le nuove sfide e i nuovi obiettivi con il quale il sindacato deve misurarsi.
Ciò al fine di rilanciare il lavoro di qualità, tutelato e pilastro della personalità dell’uomo e della donna, della famiglia e della società italiana, e contribuire allo sviluppo economico e sociale dell’Italia.
La Partecipazione e la Cogestione dei lavoratori alla gestione dell’impresa costituiscono i capisaldi di questa “rivoluzione” .
La CNAL lancia la sfida per realizzarla.

“PARTECIPAZIONE E COGESTIONE”.
Il rovesciamento della piramide e la democrazia dal basso sono essenziali non solo in politica ma soprattutto nell’economia, nella quale la prestazione di lavoro è fondamentale ed evidenzia la centralità dell’uomo e della donna. Non c’è impresa che possa decollare produttivamente ed economicamente senza il lavoro dell’uomo e della donna e, quindi, i lavoratori e le lavoratrici devono diventare protagonisti della gestione dell’impresa. Solo così sarà possibile rilanciare l’occupazione e rafforzare l’economia dell’Italia. Non a caso, la Germania, grazie anche al modello di co-determinazione Lavoro-Impresa, continua ad essere la locomotiva dell’Europa e non è un caso che essa abbia superato, senza grandi danni, la crisi finanziaria in questi ultimi anni e goda del minore tasso di disoccupazione in Europa.
Allo stesso modo, altri undici Paesi Europei (Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia) hanno adottato la partecipazione dei lavoratori nelle imprese, dando impulso al proprio mondo del lavoro e alla propria economia.
Nei suddetti Paesi si è affermato un modello di “Partecipazione/Condivisione” per la gestione strategica delle imprese attraverso il quale i lavoratori e i sindacati collaborano per lo sviluppo dell’impresa, esercitando una forma effettiva di controllo e di contro-potere verso gli imprenditori e la classe dirigente delle imprese. I lavoratori hanno sicuramente e giustamente, un potere limitato e minoritario rispetto a quello della proprietà, ma possono esercitare un vero controllo dal basso in termini di informazione e di consultazione. Essi hanno, per esempio, diritto di veto nel caso di delocalizzazioni di sedi produttive all’estero, di chiusure di impianti, di fusioni e di acquisizioni aziendali. E’ un potere di veto sostanziale e non nominale. La Partecipazione/Condivisione, inoltre, non comporta la fine del “conflitto” o la subordinazione all’azienda, anche se il conflitto sindacale è regolamentato ed è però un diritto riconosciuto. Nell’ordinamento giuridico italiano, invece, nonostante l’art. 46 della Costituzione preveda il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’impresa, il contenuto della “Partecipazione” non è definito da alcuna norma applicativa e l’Italia non ha considerato neppure l’indirizzo, dato dalla direttiva europea 94/45/CE del 22 settembre 1994, riguardante “l’istituzione di un Comitato Aziendale Europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie”. Ad oggi l’unica forma seria e costruttiva di rappresentanza e di partecipazione dei lavoratori in azienda legalmente prevista è quella del “rappresentante” per la sicurezza, disciplinata dal D.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, in applicazione della direttiva comunitaria 89/391, in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo del lavoro. Ecco perché, oggi più che mai appare indispensabile ed improcrastinabile che nella nostra Nazione si proceda all’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione per superare l’attuale crisi economica ed occupazionale e contrastare gli effetti dannosi della globalizzazione. E’ evidente che l’attuale azione sindacale è debole e, per quanto necessaria, inefficace e per nulla incisiva nel dare slancio all’economia e al lavoro e nella tutela del “Made in Italy” che ricomprende il valore delle produzioni italiane e delle competenze dei lavoratori e delle lavoratrici italiani. Ma la partecipazione alla gestione dell’impresa prevista dall’art. 46 della Costituzione non può limitarsi a mere funzioni informative ma deve realizzare il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
I lavoratori sono chiamati in causa tutte le volte che l’azienda si trova in difficoltà di fronte alla crisi economica e a subire i più pesanti sacrifici economici ed occupazionali.
I lavoratori dovrebbero, invece, partecipare alla redazione dei piani industriali per condividere le scelte strategiche dell’azienda e per prevenire e superare le crisi aziendali ed evitare la “fuga” all’estero.
Quanti fondi pubblici sono stati sprecati e quanta disoccupazione ha creato l’assenza di una verifica costante e di una partecipazione attiva alla gestione dell’impresa di chi vive il posto di lavoro?
Basta riflettere su questo per comprendere quanto è fondamentale ed indispensabile attuare la vera partecipazione tra lavoro ed impresa anche nella nostra Nazione. TRASPARENZA E DEMOCRAZIA SINDACALE, RAPPRESENTATIVITA’ L’altra fondamentale sfida del mondo del lavoro e del sindacato è quella di dare attuazione all’art. 39 della Costituzione con registrazione dei sindacati presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge, e il riconoscimento della personalità giuridica. Ciò è indispensabile affinché alla libertà sindacale si aggiunga un ordinamento sindacale veramente democratico e trasparente nella gestione.
Il riconoscimento giuridico del sindacato costringe lo stesso a rispettare appieno la democrazia interna e gli impedisce di mettere alla porta chi non è d’accordo col vertice oppure chiede chiarezza sulla gestione delle risorse. Il riconoscimento della personalità giuridica dei sindacati significa trasparenza nella gestione delle risorse, che appartengono ai lavoratori e non possono essere utilizzate per finanziare attività non connesse ai principi statutari e ancor meno per finanziare partiti politici. Il riconoscimento della personalità giuridica dei sindacati significa obbligo di pubblicazione dei bilanci.
Tale svolta è fondamentale per rendere il sindacato più credibile ed incisivo rispetto alle grandi sfide del mondo del lavoro e dell’economia. Per questo riteniamo che sia ineludibile ed improcrastinabile definire per via legislativa le questioni fondamentali sollevate dalla norma costituzionale: il riconoscimento della personalità giuridica del sindacato e la definizione dei criteri per la rappresentatività dello stesso, sia sul piano nazionale che territoriale ed aziendale.
A tale scopo necessita una Legge statale chiara e di ampio respiro, che non sia, però, il mero recepimento di accordi interconfederali e monopolistici, ma che garantisca il rispetto della Costituzione, della democrazia e, quindi, del pluralismo sindacale.
Infatti, allo stato attuale, si è tentato di trasformare in Legge l’Accordo siglato, il 10 gennaio 2014, da Cgil, Cisl e Uil e da Confindustria, soggetti che non rappresentano la totalità dei lavoratori, nè tanto meno le imprese, e che rappresentano proprio quel modello sindacale che andrebbe superato per ritornare al protagonismo dei lavoratori e del sindacato dei lavoratori e non dei sindacalisti.
In tale accordo, la parte imprenditoriale è rappresentata solo da Confindustria che, ormai, rappresenta poche multinazionali ma non la struttura reale dell’ imprenditoriale italiana, la quale è formata dalle piccole e medie imprese. Così come per la parte sindacale le tre Confederazioni non rappresentano monopolisticamente il mondo del lavoro, ma solo una parte di esso, anche in considerazione della diffusa disaffezione dei lavoratori verso un sindacato oramai superato e che diventa sempre più “azienda” anziché corpo sociale.
Non si può non riconoscere – e di questo deve tenere conto una Legge che voglia essere quanto più rispondente alla realtà e finalizzata alla vera rappresentanza – che, in tanti settori strategici per il Paese, il mondo del cosiddetto “sindacalismo autonomo” è maggioranza. Allora bisogna guardare ad un nuovo modello che discende dai nuovi scenari.
La Costituzione, in maniera inequivoca, ha sancito che non può essere imposto alcun obbligo alle Organizzazioni Sindacali se non la loro registrazione con il conseguente riconoscimento di personalità giuridica. Effettuata la registrazione e la certificazione degli iscritti, le OO.SS. hanno la facoltà di stipulare contratti collettivi nazionali di lavoro con efficacia erga omnes. Ebbene, tale disposizione non ha mai trovato applicazione, pertanto, i CC.NN.LL. mantengono una efficacia di diritto comune vincolante esclusivamente tra le parti firmatarie, che non può essere estesa alla totalità dei lavoratori. Ciò ha prodotto notevole contenzioso con conseguente giurisprudenza a sostegno della pluralità contrattuale ed una vera e propria giungla contrattuale. Ebbene, una legge sulla rappresentatività non è più procrastinabile e non può essere slegata dall’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione: non è più possibile legittimare una OO.SS. in base ad un principio del mutuo riconoscimento senza una effettiva verifica ed una certificata misurazione della rappresentatività nazionale non come unico parametro. Infatti, accertata la rappresentatività nazionale, non si può non considerare e prevedere che, di fatti, sussiste un’altra rappresentatività, che è quella aziendale, settoriale e territoriale. Tale rappresentanza è detenuta da Organizzazioni Sindacali che rappresentano un numero cospicuo di lavoratori della categoria, anche se non sono firmatarie del CCNL sottoscritto dalle Confederazioni attualmente considerate maggiormente rappresentative sul piano nazionale, e che sono legittimate a sottoscrivere Accordi in deroga, nei limiti consentiti dal CCNL, e i cosiddetti Contratti di secondo livello.
Va superata, perciò, l'antica, oramai, definizione di “Confederazioni Maggiormente Rappresentative sul piano nazionale” per passare ad una fase di riconoscimento anche di quelle Organizzazioni sindacali rappresentative sul piano territoriale e settoriale. Una rappresentatività che deve considerare: i voti ottenuti dalle liste delle RSU non collegate alle Confederazioni “maggiormente Rappresentative” e l’essere firmatari degli accordi di secondo livello e di contrattazione aziendale.
Analoghi criteri per il riconoscimento della rappresentanza dovranno essere applicati alle Associazioni dei datori di lavoro, attribuendo all'INPS il compito della rilevazione della rappresentanza, che, anche in questo caso, andrà distinta tra rappresentatività nazionale e quella settoriale e territoriale.

“IL NUOVO MODELLO DI CONTRATTAZIONE”.
Già alla fine degli anni ’50, appariva chiaro che bisognava abbandonare la contrattazione centralista e puntare sulla centralità dell'azienda e del territorio spostando verso di essa la contrattazione.
Nel luogo di lavoro si crea lavoro e ricchezza e, quindi, cresce il benessere sociale ed economico dell’intera Nazione. La contrattazione deve svolgersi, quindi, sul piano territoriale, nel luogo di lavoro per migliorare la condizione dei lavoratori e favorire lo sviluppo economico di cui i lavoratori sono il motore.
Invece si è scelta la strada della centralizzazione della contrattazione, con la quale si disciplina l’ordinamento giuridico ed economico del rapporto di lavoro lasciando poco o nulla alla contrattazione territoriale. Un disegno voluto dalle Confederazioni Nazionali dei sindacati dei lavoratori, ma anche delle multinazionali, per tenere ben stretto il potere verticistico di una piramide che si sostiene sui lavoratori e sui piccoli imprenditori i quali, negli anni, hanno perso tutto il potere decisionale.
Il contratto nazionale dovrebbe, invece, essere una “cornice” contenente le norme generali del rapporto di lavoro di comparto e la retribuzione minima uguale in tutta Italia. Tutto il resto va lasciata alla contrattazione di secondo livello. Una contrattazione che terrebbe conto delle potenzialità delle aziende, della loro capacità professionale e della sicurezza dei lavoratori.
Con questo nuovo modello di contrattazione, che privilegia il territorio e le categorie, e con la partecipazione alla gestione delle imprese, si potrebbe dare vita ad una nuova sinergia tra i lavoratori e le imprese che darebbe slancio all’economia e al lavoro.
In tale contesto, si inserisce un nuovo modello sindacale, non più verticistico, ma territoriale e trasparente, capace di dare un vero contributo alla rinascita economica e sociale del mondo del lavorio e dell’Italia.
L’attuale sistema ha favorito l’appiattimento del mondo del lavoro penalizzando la meritocrazia e la professionalità e contribuendo alla depressione dell’economia industriale Italiana, che è divenuta sempre meno competitiva sul piano europeo ed internazionale
Tutto ciò, negli anni, ha alimentato la grave crisi economica e produttiva che, negli ultimi dieci anni, ha letteralmente smembrato il sistema industriale italiano, procurando recessione, disoccupazione e perdita dei segmenti industriali strategici. Lo scoppio della crisi pandemica ha messo a nudo tutto questo evidenziando che la nostra Nazione è totalmente “dipendente” da altre Nazioni e, particolarmente dalla Cina, per la produzione in alcuni settori fondamentali.
Alla luce di quanto sopra, non bastano le riforme parziali previste dal Governo Draghi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, una sorta di “libro dei sogni” composto da un piano di investimenti e dalla programmazione di riforme strutturali.
Tra esse manca il tema principale: la riforma delle relazioni sindacali e dello stato sociale.
Quindi, oggi più che mai, per uscire dalle conseguenze economiche ed occupazionali disastrose della pandemia, rilanciamo la nostra grande battaglia sindacale per l’attuazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione e per la definizione dei nuovi criteri sulla rappresentatività e del nuovo modello contrattuale.

“LE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO: ISTRUZIONE, FORMAZIONE E RIQUALIFICAZIONE, PER L’INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO”.
Da febbraio 2020 a febbraio 2021, In Italia si sono persi 945 mila posti di lavoro, di cui 600 mila lavoratori dipendenti e 345 mila lavoratori autonomi. Un altro milione di lavoratori non sono stati licenziati per il blocco imposto dal Governo e non si conosce ancora quante attività reggeranno all’apertura delle stesse e quale sarà il loro destino occupazionale.
I più penalizzati dalla pandemia sul piano lavorativo sono stati le donne e giovani, ma anche i tanti cinquantenni che hanno perso il posto di lavoro e difficilmente rientreranno nel ciclo produttivo in mancanza di specifiche politiche attive per il reinserimento occupazionale.
Il dramma più forte lo vive il Sud dove, a fronte di una disoccupazione nazionale del 10,2, ci sono realtà territoriali che superano il 30%; percentuali drammatiche che sono il frutto della precedente desertificazione industriale e delle politiche assistenzialiste messe in campo dagli ultimi Governi.
Nell’attuale situazione economica ed occupazionale, insistiamo nel sostenere che l’Italia rinasce con il lavoro. Per questo, bisogna ripartire da nuove e più incisive politiche attive per il lavoro che puntino su: sgravi fiscali, istruzione, formazione e riqualificazione, ricollocamento al lavoro degli ultracinquantenni, migliore occupabilità di donne e giovani.
La decontribuzione e la fiscalità di vantaggio nel Sud. La principale problematica che va affrontata per incrementare i livelli occupazionali in Italia e, particolarmente, nel Sud, è quella della riduzione dei costi del lavoro. Al fine di incentivare le nuove assunzioni, occorre procedere alla decontribuzione per i lavoratori ultracinquantenni, per le donne e per i giovani, di almeno il 50% e a tempo indeterminato. Tale misura di fiscalità di vantaggio si rende indispensabile soprattutto al Sud per recuperare il gap occupazionale.
La decontribuzione deve essere stabile per incentivare realmente gli imprenditori ad assumere e a mantenere i livelli occupazionali.
Il sostegno all’impresa femminile. Nonostante le dannose conseguenza economiche della pandemia, l’imprenditoria femminile in Italia ha mostrato una particolare vitalità e resilienza. Essa va sostenuta con un Fondo dedicato che preveda un contributo pari ad euro 100 mila a fondo perduto per l’avvio di nuove attività imprenditoriali o per l’ammodernamento e l’innovazione tecnologica di quelle esistenti.
L’istruzione e la formazione per avviare i giovani al lavoro. E’ fondamentale collegare il mondo della scuola con quello della formazione per aumentare l’occupabilità dei giovani. Occorre rilanciare i percorsi didattici degli Istituti professionali e prevedere, nell’ambito dei loro programmi, ore di attività di formazione, presso centri di formazione regionale e nella modalità dell’apprendistato, per l’acquisizione delle competenze relative ai vecchi mestieri artigianali, sempre più abbandonati ma sempre più richiesti dal mercato. Occorre, inoltre, rafforzare i programmi didattici dei Licei scientifici per renderli più attrattivi e favorire l’incremento di percorsi di istruzione scientifici, dalla scuola all’Università, al fine di allargare l’attuale platea delle competenze in materia. Occorre rilanciare le politiche formative, attribuite alla competenza delle Regioni, per puntare allo sviluppo delle vecchie e delle nuove competenze, particolarmente nel settore tecnico, dell’informatica e del digitale.
Potenziare i centri per l’impiego. Le politiche attive per il lavoro si concretizzano attraverso la sinergia tra i percorsi formativi, riqualificazione e lavorativi. In tale ottica, i Centri per l’impiego devono mettere in rete, nelle proprie banche dati, l’offerta e la domanda di lavoro, creando un collegamento tra gli ultracinquantenni, usciti dal ciclo produttivo, e i giovani al fine di incentivarne, rispettivamente, la ricollocazione e l’inserimento al lavoro.
Gli Osservatori sulla disoccupazione e per il nuovo lavoro. Presso le Regioni vanno istituti gli Osservatori sulla disoccupazione e per il nuovo lavoro al fine di orientare coloro che vengono espulsi dal mondo del lavoro a formare nuove competenze per il nuovo inserimento lavorativo. Per tale scopo determinante appare il ruolo che può svolgere l’ANPAL Servizi.
La Pubblica Amministrazione. Per l’ammodernamento e il rinnovamento della Pubblica Amministrazione, va previsto il Piano annuale delle assunzioni della P.A. con aggiornamento permanente affinché si proceda, continuativamente e con la semplificazione delle procedure concorsuali, al rinnovamento del turn over nelle Pubbliche Amministrazioni.
Il Piano annuale delle assunzioni nella P.A. verrà condiviso con le scuole e le Università al fine di programmare la partecipazione ai concorsi in vista della chiusura dei cicli didattici ed universitari e di favorire l’immediato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro pubblico privatizzato.
E’ questa sfida che la Confederazione CNAL lancia alla politica e allo stesso mondo sindacale: dare vita a tale cambiamento totale per riportare al centro dell’attenzione il mondo del lavoro e per dare slancio all’economia e alla socialità dell’Italia.

Napoli, 1° Maggio 2021